Fu costruita fra il XVII-XVIII secolo. Posta appena fuori dall'abitato, il suo piazzale è un caratteristico luogo d'incontro per la comunità.
SAN VITO MARTIRE.FESTA 15 GIUGNO. San Vito nacque da Ila, Senatore dell’Impero, e da Bianca patrizia siciliana, nella città di Lilibeo, oggi Mazara del Vallo. Era l’anno 290 d.C., governavano l’Impero Romano DIOCLEZIANO in Oriente e MASSIMIANO in Occidente. Di indole tollerante e remissiva, studiò la dottrina cristiana e si convertì al cristianesimo, contro il volere del padre nemico dei cristiani il quale lo fece arrestare e fustigare. Durante la notte, Vito fuggì da Mazara e raggiunse Regalbuto, dove, assieme alla sua fedele nutrice, Crescenzia, e al suo precettore Modesto, trovò rifugio in una grotta vicino alla quale poi venne edificata la chiesa dei Padri Cappuccini. Qui Vito cominciò a fare miracoli: ricompose le membra sbranate da cani idrofobi a un ragazzo e ad un pastore. Trasferitosi in Lucania, guarì una nobildonna della corte di Diocleziano che soffriva di epilessia. In quel tempo erano stati emanati 4 editti di persecuzione contro i Cristiani, e Vito incappò nella rete. Accusato così come Cristiano e come operatore di male fu invitato a chiarire la sua fede religiosa. La risposta chiara non aveva bisogno di altro per provocare una condanna. Fu pertanto accompagnato in una prigione con l’unico conforto della presenza dei suoi educatori MODESTO E CRESCENZA. Passarono così i giorni nell’attesa di un nuovo giudizio. Vito e i suoi educatori furono accompagnati dalla prigione al Colosseo. Vito viene invitato ancora una volta a sacrificare agli dei, ed all’Imperatore; al rifiuto del Santo, si procedette al tormento della caldaia di olio bollente con piombo liquefatto misto a pece e resina. Vito doveva essere consumato in un istante, ma la mano di DIO ONNIPOTENTE fece restare illeso quel corpo. Riuscito invano quel primo tentativo, si fece ricorso alla lotta con le belve. Si avanza un leone ruggente ma al cospetto del giovanetto Vito il leone affamato non si avventa affatto anzi s’ammansisce come un fedele cagnolino davanti al suo padrone. Vito prevedendo ormai prossima la fine, eleva gli occhi al Cielo, ed offre a Dio la sua vita in sacrificio. Vito, Modesto e Crescenza vengono legati ad un cavalletto e orribilmente tormentati, lacerati a colpi di verghe. Tutti gli agiografi dicono che i nostri tre eroi prima di esalare l’ultimo respiro furono per mani angeliche trasportati da Roma in Lucania, sulle rive del Sele, dove di lì a poco resero le loro anime a Dio. Ciò avveniva il 15 giugno dell’anno 304 d.C. in Lucania, presso Eboli. Così terminava la breve esistenza di VITO. P.S.: poiché la sua festa un tempo coincideva con una festa popolare in cui la gente si dava a danze sfrenate e scomposte, queste vennero chiamate “balli di San Vito”, definizione che, per analogia, viene utilizzata per l’epilessia. San Vito è stato ed è ancora oggi uno dei Santi più venerati in Europa, conta almeno 34 patronati.
TU VITE SIS PROTECTOR TURTURELLARUM GENTIUM
La Chiesa di S. VITO Martire è ubicata fuori l’abitato, ad OVEST. Essa è di origini antichissime; già nel 1400 era aperta al culto ed officiata dal Clero, che aveva designato un sacerdote come Cappellano per l’esercizio del Culto. La festa del SANTO è stata celebrata sempre con grande partecipazione di popolo. E’ questa una testimonianza che parla altamente di fede! La chiesa, negli ultimi tempi, aveva subito notevoli deterioramenti a causa delle gravi condizioni economiche del Popolo, del tempo, e delle condizioni avverse dovute alla posizione in cui trovarsi sullo sperone di un promontorio roccioso, a cavallo di una forte depressione carsica. Si rendevano restauri improrogabili. Grazie all’intervento dello STATO, con cantieri, e sussidi, nonché con offerte del Popolo si è potuto riportare detto luogo sacro al primitivo splendore. Oggi forma l’attrattiva di molti che amano le bellezze della natura. Internamente è stata abbellita con altare nuovo, stile basilicale, in ossequio alle norme del Concilio. Un bel quadro rappresentante il SANTO e la terra di origine, opera del pittore GAETANO D’ANGELO da SAN GIOVANNI A PIRO, posto sotto il soffitto, ricordo del compianto Sig. VINCENZO BERARDI, dà un tono di sacralità al luogo sacro. Una vetrata istoriata rappresentante la “CROCIFISSIONE” posta al di sopra della nicchia del SANTO opera della Ditta Mellini di Firenze su disegno dell’Architetto DOMENICO FALCE di BATTAGLIA, accresce il misticismo della Chiesa. Questa vetrata è stata voluta da un anonimo devoto. Adiacente alla Chiesa fu costruita la Sagrestia con annesso campanile. Esternamente alla Chiesa fu creato un vasto spiazzo con al centro una artistica vasca, opera di un fervido devoto, DAVIDE NAPOLI da CASALETTO SPARTANO, cui si deve ancora l’artistico tempietto della facciata in stile classico. In fondo al piazzale, sul muro di contenimento, fu posta una “VIA CRUCIS” in tempietti, dono di FALCE GRASSANO. All’estremità della VIA CRUCIS, come su Calvario, fu innalzata una imponente croce di ferro illuminata. Un particolare riconoscimento va reso ai valorosi nostri operai; sono tanti! Non possiamo tacere del contributo dato dai FRATELLI NICOLA e GENNARO SARNO, che vollero offrire l’intero pavimento della Chiesa e della Sagrestia, come pure è doveroso ricordare il contributo, in giornate lavorative dei FRATELLI EMANUELR e MARIO ABRAMO, del Sig. GIOVAN BATTISTA BELLO, che oltre tutto sono stati sempre disponibili per tanti altri servizi. Il luogo altamente suggestivo parla di cielo; lì veramente la natura parla all’anima con l’eloquenza delle cose e spinge lo spirito “in più spirabil aere” sulle ali della fede. Riteniamo nostro dovere ricordare alle nuove generazioni i Nomi di coloro che prestarono la propria opera per i restauri della Chiesa di S. VITO, perché oltre tutto, questi operai erano animati da una fede sincera e da una spiccata devozione verso S. VITO. Tale testimonianza di fede deve essere ricordata ad onore loro, ad insegnamento ai posteri, a gloria di SAN VITO. In un arco di tempo che va dal Settembre del 1962 all’autunno del 1969, con l’ausilio di cinque cantieri-scuola autorizzati dal Ministero del Lavoro e della M.O. con un contributo dello STATO, e soprattutto con offerte spontanee da parte del nostro buon Popolo, che silenziosamente contribuì efficacemente alle spese, si è potuto realizzare il sogno dei nostri Padri. Additiamo pertanto alla riconoscenza di tutti i devoti di S. Vito. I nomi degli operai che lavorarono per il restauro della Chiesa e della piazza antistante:
ABRAMO ANTONIO, ABRAMO EMANUELE, ALESSIO GIUSEPPE, ALESSIO VINCENZO, ALESSIO VITO, ALESSIO VITO ANTONIO, AMATO GIUSEPPE, AMATO LUIGI, AMATO NIVOLA, CAMMARANO GIUSEPPE, CARDINO POMPEO, CIANNI FELICE, CIOFFI ALDO, CRUSCO DOMENICO, FALCE FRANCO, GALLOTTI GIUSEPPE, GALLOTTI VITO, GIORDANO DOMENICO, GIUDICE NICOLA CRISTOFORO, GROSSO ANGELO, GROSSO OSVALDO LUIGI, LIBONATI VITO, MAGALDI BIAGIO, MARINELLI RODOLFO, MARTINO PASQUALE, NIGRO FRANCESCO, PARADISO FILOMENO, PECORELLI GIACOMO, RIZZO VITO, SAMPOGNA FRANCESCO, SCOTELLARO VINCENZO, SPANO’ GIUSEPPE, SPANO’ NICOLA, TANCREDI DOMENICO, TANCREDI MICHELE, TANCREDI PIETRO, TORRE GIUSEPPE, VITA EUGENIO, VITA GIOVANNI. A questi vanno aggiunti gli operai provenienti da BATTAGLIA: BRUNO NICOLA, CESARINO BIAGIO, LOVISI NICOLA, MARSICANI GENNARO, NICODEMO ANTONIO, RIVELLI CARLO, RUSSO ANTONIO, TEANO PIETRO. Per tutti un grato riconoscimento, in sincero augurio di ogni vero bene, una fervida preghiera con il nostro amabilissimo SANTO PATRONO vegli su di loro e sulle loro famiglie. Non possiamo concludere queste brevi note senza far memoria del compianto Geom. TONINO PADULA, che per ben 8 anni ha diretto i lavori dei 5 cantieri-scuola come primo Istruttore. In TONINO si vedeva brillare nell’animo il movente del grande impegno: una particolare devozione del nostro SANTO. Per questa testimonianza serbiamo perpetua memoria.
I FIORETTI DI SAN VITO
Prima di chiudere il capitolo mi sia consentita una digressione. Voglio cedere alla tentazione del sentimento che mi rigurgita nel cuore. Conservo inalterato nella mente il ricordo degli episodi sul nostro caro SANTO, episodi che ci venivano raccontati dalle nostre care nonne. Sono racconti che possono sembrare ingenui, ma che risentono tutti della gentile, delicata colorita sinfonia di fioretti francescani, che tanta pace e serenità hanno recato allo spirito umano assetato di sincerità. Che non avvenga lo stesso con i nostri racconti? E’ forse una utopia sperare un risveglio di fede? Ma la nostra fede non è ancor morta! La devozione verso S. VITO affonda le sue radici nell’anima del nostro buon Popolo. “tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23) . La lettura di questi nostri racconti può per lo meno rianimarci a sperare quella nobile utopia. Ciò che importa è conoscere con amore il nostro SANTO, oggetto di sentita devozione. Tutto questo desiderio farlo per conservare, nel miglior modo possibile, il ricordo non solo, ma quel profumo direi, quella luce della religiosità popolare, che è stata la nostra caratteristica predominante, e che ha tenacemente resistito alla gelida ventata di freddo razionalismo, e di angosciosa irreligiosità, venuta in quest’ultimi due secoli d’oltralpe. Perciò con la compiacenza della Storia, e con buona pace degli arcigni critici, mi permetto fare come le nostre nonne, che puntualmente le sere d’inverno accanto al crepitante focolare raccontavano ai vispi nipotini racconti fantasiosi, che ammaliavano la fantasia dei piccoli lasciando nella loro mente impressioni soavi. Qui però non racconto fiabe, bensì fatti realmente accaduti, che hanno un solo difetto, quello cioè di non essere stati convalidati dalla critica! Purtroppo non li troviamo in documenti scritti da dotti con tanto di timbri e firme con autentica autorevole; sono stati tramandati oralmente di padre in figlio, senza nessuna pretesa. La nostra buona Gente nella loro semplicità non andava tanto per il sottile; non si era tanto critici allora; oggi noi siamo più increduli di S. Tommaso; vogliamo vedere con gli occhi, anche se talvolta sono cecuzienti, e vogliamo toccare con mano; i nostri Avi non sospettavano neppure che i loro tardi nipoti sarebbero stati tanto esigenti! Se la critica storica ha le sue esigenze, la semplicità d’animo, che tanto piace a Dio, non può non accettare i fatti, né sottrarceli, solo perché non comportano il crisma da essa richiesto. La fede d’altronde cresce e si sviluppa nella “notte dello spirito”. Ed ecco ora i nostri fioretti.
IL MULINO DI SAN VITO
Questo episodio rimonta ad un’epoca abbastanza remota, e precisamente al tempo in cui era in azione il mulino detto di “S. VITO” costruito giù sull’alveo del fiume, “a iumara di Cataletto”, sotto le nostre “Rocche”, visibile anche dagli avamposti rupestri delle “Croci Vecchie” oggi chiamate “belvedere”; tuttora il mulino è dirupo, ma nell’ansa del fiume esistono ancora non solo le mura perimetrali, ma ancora la condotta che dal luogo di captazione e fino alla cascata incanalava l’acqua, come pure ci sono le grandi ruote di pietra, le mole per la macinazione del grano. Lì si andava a macinare il grano; certo era un’impresa faticosa e non priva di pericoli. La depressione della voragine prodotta dal fiume è davvero enorme; se si pensa che quel luogo si trova a 250 metri sul livello del mare, mentre TORTORELLA è ben 582 metri, il dislivello è di oltre 330 metri. E poi la strada, o meglio, il viottolo, si snodava tra dirupi scoscesi e ripidi da far venire le vertigini. Lì andò, come abitualmente, un pomeriggio, col suo sacco di grano una donna, che, fra l’altro, aveva l’incarico di suonare la campanella della Chiesa di SAN VITO per il Vespro. Giunta al mulino trovò un bel numero di persone che attendevano il loro turno, la buona donna si mette in fila e aspetta anche lei. Ma le ore passavano rapide e la donna cominciò a preoccuparsi, perché vedeva che non avrebbe fatto in tempo per suonare il Vespro. Avrebbe voluto macinare prima, ma non ardiva parlare; poi vinse quel ritegno, e chiese agli altri il favore di passare avanti; ma con grande sua delusione si ebbe un netto rifiuto da parte di tutti. Per questo la buona donna pensò di tornarsene, e lascio il suo sacco ddi grano al mugnaio, e se ne andò. Non aveva fatta molta strada che si sentì chiamare dal garzone del mugnaio; doveva ritornare subito al mulino. Cosa era successo? Il mulino, subito dopo la sua partenza, si era guastato, né valsero le accurate ricerche per trovare il guasto, per cui qualcuno avanzò il sospetto che ciò fosse dovuto al torto fatto alla donna di S. VITO. Il mugnaio allora pensò bene a dare la precedenza alla donna una volta ritornata al mulino; non appena messo il grano nella tramoggia, e azionato il dispositivo per l’avviamento, il mulino si mise in moto come se nulla ci fosse stato. Era evidente l’intervento del nostro SANTO; tutti, compunti, si fecero le loro scuse con la donna visibilmente amata da S. VITO. Ma il bello venne dopo. La nostra buona donna già ritornava col suo sacco di farina verso il Paese; l’erta faticosa non consentiva un’andatura allegra; l’ora del Vespro era quasi giunta, il sole calava all’orizzonte, lasciando il fondovalle nella penombra; la preoccupazione di non trovarsi in tempo per il Vespro la preoccupava, e si affaticava, quando con grande commozione sentì l’armonioso squillo della campanella di S. VITO che suonava allegramente; era già l’ora del Vespro. Chi era andato a suonare? La pia donna, per quanto avesse chiesto, ricercato accuratamente, non riuscì mai a sapere chi aveva messo mano alla corda: il cuore però le suggeriva qualcosa di bello. Era stata una mano angelica? Nessuno lo potè provare, ma la fede della donna, ligia al suo dovere fino al sacrificio, lo disse molto chiaramente: S: VITO, il nostro amabilissimo SANTO.
SAN VITO GRAND’UFFICIALE
Un altro episodio suscitava nei nostri cuori semplici una gioia ineffabile. Questo episodio accadde non molti anni dopo la formazione del Regno d’Italia, sotto il regno di UMBERTO I . Viveva a TORTORELLA in via Monte Libano una povera famigliuola di cognome GULMO; i coniugi con un solo figliulo. La povertà era di casa; si viveva col lavoro. Gli anziani coniugi naturalmente ponevano le loro speranze nell’unico rampollo che DIO aveva loro mandato. Ma la loro speranza si offuscò, e le preoccupazioni si acuirono allorché, raggiunta l’età del servizio militare, il giovane fu chiamato per la visita militare. Allora la ferma militare durava oltre due anni; l’assenza del giovane per tanto tempo avrebbe di certo recato non poco danno alla povera famiglia. La Patria chiamava, e il giovane partì, passò la visita ad Eboli; ma pochi giorni dopo era già di ritorno in famiglia. Cosa era successo? Il giovane raccontò che, subita la visita, fu riconosciuto dalla Commissione abile a tutti i servizi e assegnato ad un corpo speciale, ma mentre stava per uscire dall’aula arrivò un alto Ufficiale, che lo fermò, e chiese alla Commissione l’esito della visita; come sentì dire che era stato ritenuto idoneo, ordinò d’autorità di ripetere la visita, e controllare meglio lo stato di salute della recluta; la visita fu ripetuta sotto il controllo dell’alto Ufficiale, e il giovane fu dichiarato non idoneo; fu riformato e mandato a casa. Mentre il giovane raccontava la sua vicenda, i genitori commossi baciarono la terra! Fu allora che la mamma svelò il suo voto fatto a S. VITO. La povera mamma aveva supplicato il nostro S. VITO, allorché il figlio partì per Eboli; con fiducia incrollabile lo avevano invocato, per cui dopo il racconto del figlio chiese di andare a S. VITO, e lì prostatasi per terra davanti a S. VITO pianse lagrime di consolazione ringraziando il caro SANTO, il valido intercessore nostro davanti alla maestà di DIO. Di questo episodio si parlò molto in Paese e fuori suscitando ovunque tanta fede nella potente intercessione di S. VITO.
SAN VITO GUARDIANO DI ……. VIGNE
Un altro episodio che infondeva tenerezza e nello stesso tempo fierezza nei nostri cuori avvenne presumibilmente verso i primi anni del nostro secolo. Vivevano in TORTORELLA in via C. Colombo due anziane donne –madre e figlia- MARIA POLITO vedova di GIOVANNI PUGLIESE, e la figlia MARIA GIOVANNA, morte poi nel 1920 a distanza di otto giorni l’una dall’altra. Le chiamavano di soprannome “le pezzodde” non si sa perché. Vivevano in povertà; l’unico sostentamento lo ricavavano da un podere a S. Nicola dove avevano una discreta proprietà; lì avevano una vigna, che coltivavano con cura veramente lodevole. In Paese si diceva che chi vuole vino veramente buono deve andare “dalle pezzodde” . In casa, nel cortile, avevano un piccolo frantoio per la stringitura dell’uve, che prima di pigiarle selezionavano accuratamente. Tutti i giorni lavoravano la vigna; sarebbero rimaste lì anche di notte, ma non c’era la casetta, per cui dopo il lavoro facevano ritorno in Paese. Ritornavano, ma con una preoccupazione. In tempi di ristrettezze economiche si verificavano fatti alquanto spiacevoli: spesso capitava che visite notturne nei campi facevano man bassa di frutti e ortaggi, ed alle volte con danni seri alle colture; in certe stagioni specialmente, mani furtive riuscivano a raccogliere quello che non avevano seminato, e il frutto di mesi di lavoro scompariva nonostante accortezza e vigilanza. Le nostre donne poi avevano ragione di temere, perché l’assiduo lavoro aveva reso il loro campo un giardino pieno d’ogni ben di DIO; la vigna poi faceva invidia a tutti. Per di più un anno comparvero in quella zona dei forestieri, dei carbonari che rimasero lì per molto tempo a fare carboni. I carbonai, lo si sa, lavoravano giorno e notte; fanno una vita sacrificata; si accontentano di una baracca per il riposo notturno. I viveri che portano appresso tante volte vengono a mancare; la tentazione di arrangiarsi quasi s’impone.Per questi ed altri motivi le nostre donne temevano qualche spiacevole sorpresa. Non avevano a chi raccomandarsi; in famiglia non c’era un uomo, che desse una tal quale sicurezza; due povere donne non facevano ombra a nessuno. L’unico rifugio alle loro ansietà era il ricorso al buon DIO ed ai nostri SANTI. La vecchia madre, ricca di fede, ogni volta che fatto il carico di roba sull’asinello, si partiva di là, faceva una semplice preghiera al nostro SANTO: “ S. VITO mio, guardala tu” . E partivano fiduciose. Intanto i tanto temuti carbonai rimanevano nella zona padroni unici e soli. Le donne si ritiravano a casa, ma la vigna, soprattutto al tempo dell’uva non rimase mai incustodita. Partite le donne, compariva un uomo; un uomo dalla statura atletica, con due cani al guinzaglio, con un fucile a tracollo, in atteggiameto di persona interessata del luogo; saliva e scendeva attraverso la vigna, osservava ogni cosa come chi si rende conto della coltura; lo si vedeva ora sulla cima della collina, ora in fondo al campo, in continuo andare su e giù, né si allontanava mai dalla vigna. I carbonai, da lontano osservavano tutto, forse perché avevano in mente qualche progetto; la meraviglia crebbe quando notarono che questo sconosciuto compariva sempre, non un giorno solo. Avrebbero voluto avvicinarlo, e fecero dei tentativi, però non riuscirono a nulla, perché quando ad essi sembrava di poterlo avvicinare, scompariva, per poi vederlo lontano in altro punto della vigna. Fu così che nessuno di quei carbonai ardì avvicinarsi alla vigna, che vigilata in tale maniera, rese bene i suoi frutti. Un fatto così insolito destò nei carbonai una curiosità. Chiesero alla gente del luogo notizie; innanzitutto chi era il padrone della vigna; doveva essere un uomo abbastanza singolare se tutte le sere, invece si ritirarsi con le sue donne, rimaneva lì per tutta la notte. Rimasero perplessi quando seppero che il padrone era morto da tempo, e per giunta in America? Chi era allora quel tale che con cani e fucile vigilava la notte? Certo non andava a caccia nella vigna! Il fatto alquanto straordinario arrivò alle orecchie delle “pezzodde” ; tutti i valligiani si congratulavano con esse, che erano state favorite da un guardiano notturno, e la vigna non fù mai violata da nessuno. L a cosa rimase misteriosa per quella gente, ma non per le “pezzodde” , che videro in quello sconosciuto atleta divenuto loro guardiano, il SANTO cui si erano sempre rivolte con vera fede.
BIBLIOGRAFIA:IL MESSAGGIO DEI NOSTRI PADRI-SAC.FRANCESCO ALESSIO PARROCO
a cura del SERVIZIO CIVILE - TORTORELLA WEB-
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