LE INCURSIONI DEI CORSARI DEL 1534 E DEL 1552
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Nell'anno 1534, il corsaro Khair-ed-din Barbarossa, ottenuto il comando della flotta turca dal Sultano Solimano II, dopo aver sparso il terrore sulle coste del Mediterraneo, assecondato nei sui feroci propositi dal "Giudeo", altro terribile pirata e suo degno compare, si avventò con furia selvaggia su Policastro, ne distrusse non poche opere d'arte, la saccheggiò spietatamente e, quindi, la diede alla fiamme.
In tale circostanza ebbero a subire il saccheggio e l'incendio anche i centri di Scario, San Giovanni a Piro, Bosco, Roccagloriosa, Torre Orsaia, Santa Marina, Vibonati e Sapri..
Nel 1552, il 10 luglio, sabato sera, una flotta musulmana di 123 navi gettò le ancore nel golfo di Policastro, ed esattamente presso la località che è chiamata Oliveto. Il giorno dopo, domenica, i musulmani guidati da Dragout-Rais Bassà, detto Dragut, sbarcarono più veloci delle aquile e misero a ferro e a fuoco Policastro ove rimasero solo 30 persone, fra le quali il vescovo Francesco da Massanella, e distrussero gli archivi urbani e quanto di sacro esisteva nel convento di San Francesco. Il giorno successivo, dopo aver fatto festa sulla spiaggia durante la notte, saccheggiarono e distrussero San Cristoforo, Spani (oggi Ispani), Vibona (che scomparve definitivamente), Santa Marina e San Giovanni a Piro, altri Bosco, Torre Orsaia, Rocca Gloriosa e Castel Ruggero, inseguendone gli abitanti sui monti e uccidendoli in luoghi deserti. Numerosi furono i morti e altrettanti i prigionieri. I raccolti furono bruciati nei campi. Roccagloriosa subì un vastissimo incendio; oltre cento abitanti furono uccisi o portati via come schiavi. A tale motivo la Regia Camera accordò una esenzione fiscale per tre anni. Il giorno 13 luglio assalì Camerota e Pisciotta.
Di fronte a tali incursioni la cittadina di Tortorella rimase miracolosamente illesa. I corsari giunsero fino a Vibonati, ma non proseguirono oltre.

 

MONSIGNOR SPINELLI
Mons. Spinelli, vescovo di Policastro, visita TortorellaIl 17 settembre 1597, Mons. Spinelli, dopo aver ascoltato la messa a Torraca proseguì per tria miliaria circiter verso Tortorella ove fu ricevuto dal Clero.
Nella chiesa principale vi erano: l'Altare Maggiore, il tabernacolo lingneo con il Santissimo Sacramento, le reliquie di S. Urbano Papa, la fonte battesimale e gli oli sacri. Il vescovo ordinò l'istituzione di libri redetti in italiano per i matrimoni, i battesimi e le cresime. Il 18 settembre intervenne alla messa in aurora, visitando, dopo, le cappelle di Santa Maria della Sanità, del Sacramento, gli altari dell'Annunciazione, di S. Sebastiano, del Rosario, della Concezione (ospizio annesso parve membro domus sito a latere dictae capellae). Nel centro abitato visitò inoltre la cappella di San Nicola delli Marotti in loco ubi dicitur lo Cantone.
Fuori abitato erano aperte al culto le cappelle dedicate a San Vito, San Nicola farnetani, Santa Maria dei Martiri, Santa Sofia, San Giacomo della Croce, Santa Maria dell'Annunciazione, San Nicola mazanetese, San Giovanni maccaneti.
Il vescovo Giovanni Antonio Santonio di Taranto, eletto vescovo di Policastro nel 1610, oltre a convocare tre Sinodi, ricostruì il seminario in base al decreto Tridentino di riforma cap. 18, sess. XXIII attribuendogli anche il beneficio semplice di San Giovanni di Marcaneto di Tortorella.
I ruderi della chiesa di San Giovanni di Marcaneto insieme alle suggestive vestigia del campanile si trovano nella contrada San Teodoro, nel Comune di Tortorella.
Il vescovo Laudisio riferisce che la Chiesa della Beata Vergine Assunta di Tortorella non era una vera e propria Colleggiata (non ve ne erano in Diocesi): i sacerdoti erano nominati dal vescovo e chiamati canonici titolari, secondo una consuetudine confermata nel sinodo del 1615 dal vescovo Santonio.

 

LA PESTE DEL 1656
Il Giustiniani ubica il villaggio di Tortorella su un monte sassoso, ma con buoni pascoli, a 75 miglia da Salerno, e a 5 dal mare. Parla dei suoi 1100 abitanti che producono frumento, granone, vino e olio, e del feudatario Carafa della Stadera. Egli ci informa pure delle numerazioni dal 1532 al 1669:

nel 1532: fuochi 148, ab. 740
nel 1545: fuochi 165, ab. 825
nel 1561: fuochi 174, ab. 870
nel 1595: fuochi 167, ab. 835
nel 1648: fuochi 197, ab. 985
nel 1669: fuochi 76, ab. 380

La peste del 1656 ridusse a un solo terzo la popolazione di Tortorella.
 
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